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La Juve 3menda con Como e Verona non mi aveva detto molto e ho letto con stupore il magnificat in ode di Motta rinviando un controllo ulteriore al match con la Roma, considerata almeno dagli anziani una vecchia nemica. In realtà accomodante: per portare a casa un punto s’è adattata al ruolo di sparring partner. Ciònonostante evito di fare quel che volevo, un primo anche se immaturo confronto della Juve con l’Inter. Perchè la Benemerita appena bistellata è lontana un mondo dalla Signora appena abbozzata. Anche se non le mancano giocatori di valore: dopo un tempo che barba che noia è bastato l’ingresso di Koopmeiners e Conceiçào per vedere un calcio più brillante e propositivo. Come passare dal 4-3-2-1 al 4-3-3. E’ una Juve con la voglia di fare ma incerta sul come, troppi passaggi, troppi avantindrè, impalpabili colpi d’audacia. E allora ho pensato a un suggerimento prezioso ricevuto in settimana da un testimone del tempo, il vecchio – mio coetaneo – brillante attaccante della Juve anni Sessanta, Carlo dell’Omodarme, che incrociai brevemente a Torino e conobbi meglio a Ferrara, nella Spal (se ben ricordo) di Massei e Capello. Dice l’antico guerriero che Motta gli ricorda Heriberto Herrera, il paraguagio scrupoloso preparatore, esponente del movimiento, massacratore negli allenamenti, odiatore dei campioni veri o presunti che cacciava (dico Sivori per tutti). Motta non si è esposto con pubbliche torture, quelli che non voleva li ha abilmente eliminati prima (dico Chiesa per tutti). Il 4-4-2 di Accacchino (Helenio era Accaccone, vedi Brera) non è molto diverso dal 4-2-3-1 di Motta. Il quale è entrato in campo in abito scuro, elegante, meditabondo, occhio brillante fisso, sorrisetto stampato, proprio come Heriberto. Il quale uno scudetto con la Juve tuttavia lo vinse. Strappandolo proprio all’Inter, evito di ricordare come, dico solo che se c’è della rabbia, fra le due storiche rivali, sicuramente i fattacci dell’1 giugno 1967 lo spiegano bene (consiglio un passaggio su google).
Che barba che noia, dicevo. Grazie anche a De Rossi che, credendosi un Guardiola di passo, ha rinunciato per un’ora a Dybala. Fossi in Paulo – del quale mi dichiaro ammiratore fin dal Palermo – chiederei agli arabi se è ancora in tempo per scappare da Roma.
Due noterelle finali: visto il Bologna, l’esanime Italiano non riuscirà a bere il Beaujolais Nouveau. L’ho detto fin dalla prima partita. E arriva la Champions. Sentito l’appello di Gravina per il tempo effettivo gli segnalo che a Napoli l’arbitro ha ammonito il portiere del Parma Suzuki al 63′ per perdita di tempo di 20 secondi ma ha allungato la partita di 15 minuti complice il Var.

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