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Incontrai Santiago Bernabeu a Belgrado, nel ’73, finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Ajax. Parlammo anche, cosa non riuscita ai giornalisti di tutto il mondo ch’erano lì per il grande evento. Una chiacchierata (per me) emozionante ottenuta non per merito mio ma per bontà sua. Il signore in grisaglia mi aveva sentito chiamare un collega a voce alta e mi colse a volo:”E’ bolognese, lei?” “Sì”. (In un certo senso. Vivevo e lavoravo a Bologna). “Sono Santiago Bernabeu, mio fratello ha studiato per anni nella sua bella città, al Collegio di Spagna…Io amo Bologna”. A parte poche battute in rossoblù gli chiesi perchè fosse a Belgrado senza il Real in finale. “Cerco di non mancare mai il match decisivo. La Coppa dei Campioni è come se fosse nostra”. Ne aveva già vinte sei – complessivamente 36 trofei – il signore cui Francisco Franco aveva concesso l’onore di dare il nome – ancora vivente – allo stadio madridista. In quel momento era in crisi, anche personale – se ne sarebbe andato quattr’anni dopo – ma sul Real non aveva dubbi: “Vincerà tante coppe. Nella Liga non abbiamo rivali, il nostro gol è l’Europa”.
Immagino che Ancelotti consideri Santiago un suo avo sportivo, come Alfredo Di Stefano che di Coppecampioni ne ha vinte cinque anche lui, giocando. E adesso che cerco di magnificare Carlo mi butto a definirlo – come la Saeta Rubia in campo e in panca – ispiratore di un calcio totale oltre al nominatissimo calcio olandese, nel senso che a Crujiff e la sua banda di artisti mancava il senso della vittoria anche senza spettacolo. Carlo non è regista di film intellettuali all’Antonioni, naviga piuttosto fra Vittorio De Sica e Sergio Leone, fra humour e pistole, senza mitraglia. Anche sabato sera, davanti a un Borussia sturm und drang, il suo Real ha mostrato una platonica sofferenza. Poi ha vinto. Coppa dei Campioni n.15. Aveva ragione Santiago Bernabeu.
L’ho scoperto ragazzo, quando diciannovenne, con una doppietta rifilata alla Triestina, portò il Parma in B e lo premiai col Guerin d’Oro. D’allora Ancelotti è cresciuto fino a raggiungere livelli di qualità straordinaria da giocatore e da tecnico, senza mai autoproclamarsi inventore del calcio, pratica assai diffusa nel suo mondo. E ora ricorderà quando aiutò Berlusconi a proclamarsi re d’Europa perchè risultava che avesse superato il Real per numero di trofei. Vorrei anche dire – volendogli bene – che ammiro da sempre la sua capacità di vivere con semplicità i fatti quotidiani e i grandi eventi. Così come nell’ennesima vittoria mi ritrovo accanto a lui – forse anche più severo – a rammentare il vergognoso comportamento della Triade juventina che lo diede in pasto ai buzzurri. E mi diverte l’idea di indovinare come avranno reagito i sapientoni napoletani e i loro virgulti davanti alla vittoria di Carlo in Champions, loro che lo hanno praticamente ripudiato e definito bollito o addirittura…procuratore di suo figlio. Non ho altre parole, per Carlo, se non un “Buon divertimento e lambrusco”. Lo champagne lo lasciamo ai vittoriosi occasionali.

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